Il Vigeland Park di Oslo: un’esperienza molto queer

Il Vigeland Park di Oslo è giustamente una delle maggiori attrazioni turistiche della Norvegia. Frotte di turisti si fotografano accanto a grandi statue un po’ bizzarre, su cui i bambini sono liberi di arrampicarsi e giocare. Fin qui va tutto bene: la scultura di Gustav Vigeland ha infatti una forte componente ludica e gioiosa. In realtà già dall’ingresso di questo ampio parco ˗ il più ampio mai dedicato a un solo scultore, come ci informano le guide, pensato e progettato in ogni dettaglio dall’artista lungo più decenni ˗ si avverte una sottile sensazione perturbante. Questa serie di più di duecento statue, che dal ponte si susseguono in un crescendo che ci accompagna verso una fontana e un enorme monolite, sfugge a ogni facile classificazione: spiazza le nostre attese, anche quelle di chi è abituato alle sfide ardue a cui ci sottopone talvolta la cultura scandinava. Camminiamo attraverso corpi nudi e muscolosi, lontani però da ogni immagine idealizzata di bellezza classica, colti in gesti e posizioni di grande intensità emotiva, donne uomini vecchi ragazzi bambini, da soli in coppia o in gruppo: sembra proprio l’esaltazione di ogni forma di affettività e di relazione, al di là delle barriere fra età, genere e ruolo. Insomma, un’esperienza per me molto queer.

Purtroppo se si desidera sapere qualcosa in più su questo artista così atipico, ci si imbatte nei pannelli esplicativi, che parlano di una glorificazione del rapporto uomo-donna. Raramente il modello eteronormativo è apparso più banalizzante: una forzatura plateale per eliminare ogni carica destabilizzante di questo parco così inusuale. Le cose migliorano solo un po’ se si naviga in rete: si troveranno molte letture in chiave di celebrazione dell’energia cosmica, legata alla grande tensione religiosa e spirituale di Vigeland. Il che non ci meraviglia affatto: basta conoscere Munch e Ibsen, o uscendo solo un po’ dalla Norvegia, Dreyer e Bergman, per capire di che stiamo parlando. Allo stesso modo da un punto di vista estetico si possono ricordare il rapporto con Rodin, l’ossessione per la plasticità del corpo presente in tanta scultura del primo Novecento (i marmi del Foro Italico di Roma,  ovviamente…), e la fascinazione del gotico (Vigeland lavorò ai restauri della bella cattedrale di Trondheim). Eppure tutte queste letture sicuramente giuste (a differenza della glorificazione del rapporto uomo-donna, del tutto fuorviante) lasciano qualcosa di non spiegato. La lettura queer fa invece proprio il contrario: non disconosce certo il progetto poetico di Vigeland e il suo contesto culturale ed estetico, ma fa esplodere il non detto, asseconda e amplifica la carica sovversiva. Di fronte alle coppie struggenti di vecchi o di vecchi e bambini, agli adolescenti possenti, ai giochi folli, o all’uomo che si tortura da solo i capezzoli, non basta il richiamo all’energia cosmica e spirituale. Ci vuole altro. Ci vuole il queer.2015-08-07 12.45.21

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Una risposta a Il Vigeland Park di Oslo: un’esperienza molto queer

  1. Carmen Dell'Aversano scrive:

    Le sculture di Vigeland, con le relazioni libere, gioiose, imprevedibili che creano tra i corpi, mi hanno sempre fatto pensare a uno dei testi sacri della mia personale biblioteca queer, Le roi des Aulnes di Michel Tournier, e in particolare al momento “più commovente di tutti” che è al centro dell’ontologia del libro («Il n’y a sans doute rien de plus émouvant dans une vie d’homme que la découverte fortuite de la perversion à laquelle il est voué.») : « Je ne savais pas, petit Fauges, que porter un enfant fût une chose si belle.» Vigeland è ancora oltre: perché tutti portano tutti, senza distinzione di sesso, età e neppure peso: una vera utopia queer!

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